giovedì 16 settembre 2010


Quando mi hanno comunicato che sarebbe arrivato un cucciolo, ho reagito in maniera tanto distaccata e cinica che la mia famiglia deve aver creduto che non volessi piu’ cani.
In effetti, dopo la morte di Sitka, avevo tanta voglia quanta paura di amare un altro cucciolo. Credo che in ogni forte passione che abbia causato dolore si crei questa diatriba interiore tra brama e terrore, e quest’ultimo cresce proporzionalmente al primo: piu’ desideriamo ciò che ci ha già colpito, piu’ lo temiamo.E nascondiamo tutto grazie al cinismo mascherato di realismo.
Credo sia il meccanismo per cui gli anziani spesso sono meno sognatori dei fanciulli, anche se personalmente provo piu’ stima per coloro che riescono a sottrarsi a questo semplice ritrovato difensivo.
Quella sera, quindi, mi sono rintanata nel mio lettuccio molto presto perché temevo che qualcuno potesse udire i battiti del mio cuore impazzito.Neanch’io, o forse solo io, non volevo sentirli, ma piu’ cercavo di dormire piu’ il mio organo suonava e faceva fracasso finché, indomabile, mi ha costretta ad ammettere che un pochino mi rendeva allegra l’idea di un cane. Era Felicità Pura.
Ho assistito, mio malgrado, alla festa fino all’alba, incapace di dormire. Anche i pensieri avevano iniziato a danzare e piroettare e decisi finalmente di lasciarmi andare e godermi lo spettacolo.
La mattina successiva fu interminabile. Miscela di angoscia e desiderio.
Il piccolo sarebbe arrivato con mia mamma al termine dell’orario lavorativo consueto. Avrei potuto benissimo decidere di andare a prenderlo io stessa ponendo fine all’attesa sfibrante, ma avevo abbassato appena un poco la maschera di cinismo con me stessa e non me la sentivo di toglierla del tutto.Ho trascorso ore camminando avanti e indietro, come un padre fuori dalla sala parto. Sapevo che ogni vita che si aggiunge alla famiglia, indipendentemente dal numero di zampe, comporta un forte cambiamento nella propria routine, se lo si accoglie come merita. Non che fosse questo a spaventarmi. Immaginavo il cucciolo senza volerlo raffigurare. Non era Sitka, forse questo mi avrebbe delusa. Non ci conoscevamo, forse non saremmo diventati amici. Ogni animale ha il proprio carattere. E poi come chiamarlo? Probabilmente avrebbe pianto le prime notti. Avrebbe sporcato in casa. Sarebbe stato necessario insegnargli tutto.
Finalmente il rumore della chiave che gira nella serratura interrompe il flusso discontinuo dei miei pensieri.
Il cuore aveva iniziato di nuovo il suo concerto; con ostentata indifferenza e lentezza mi avviai verso l’ingresso.
Un orsacchiotto pelosissimo, morbido e stupendo era in braccio a mia mamma.
Si girò verso di me e, sopra un musino nero dalle proporzioni perfette, brillavano occhietti acuti e ingenui.
FRAM nell’istante in cui ho incrociato il suo sguardo
FRAM fracassata a terra la mia preziosa maschera.
Ho sentito aprirsi qualcosa, liquefarsi qualcosa d’altro e una gioia così intensa da stordire: ho abbracciato il mio cucciolo e da allora viviamo senza sciogliere quell’abbraccio.
Non potremmo “essere” senza.

lunedì 13 settembre 2010

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie


del bosco non odo                                                         

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove sui pini

scagliosi ed irti,

piove sui mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

sui ginestri folti

di coccole aulenti,

piove sui nostri volti

silvani,

piove sulle nostre mani

ignude,

sui nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

l'illuse, che oggi m'illude,

o Ermione

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitio che dura

e varia nell'aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

nè il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancora, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d'arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come un foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall'umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s'allenta, si spegne.

Sola una nota

ancora trema, si spegne,

risorge, treme, si spegne.

Non s'ode voce del mare.

Or s'ode su tutta la fronda

crosciare

l'argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell'aria

è muta; ma la figlia

del limo lontane,

la rana,

canta nell'ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sì che par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pesca

intatta,

tra le palpebre gli occhi

son come polle tra l'erbe,

i denti negli alveoli

son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i malleoli

c'intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri volti

silvani,

piove sulle nostre mani

ignude,

sui nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m'illuse, che oggi t'illude,

o Ermione



(Gabriele D'Annunzio 19°-20° secolo)

Buongiorno mondo!

Non voglio parlare di me.
Saranno i miei scritti che accumulo da tanti anni a farlo.E la Farfalla Celeste.
E' un primo passo.
Condivido emozioni e la bellezza della vita.

          "L'uomo che riesce a vedere le cose picole ha la vista limpida ed il cuore sereno".


Buon viaggio!